Nei negozi, in certi siti web o nel parlare comune i vegetali coltivabili negli acquari vengono definitivi genericamente con il termine “piante d’acquario”, spesso seguito dall’aggettivo “tropicali”.

All’interno di questo grande quanto eterogeneo gruppo, però, possiamo individuare una serie di piante con caratteristiche ed esigenze ben diverse. L’analisi e la conoscenza delle varie specie e delle  loro  necessità è alla  base di una corretta coltivazione:solo rispettando questi parametri potremo avere risultati eccellenti e costanti nel tempo.Per fare una prima considerazione di massima, priva dell’oggettività e dei numeri di una statistica vera, basta prendere i cataloghi dei più  importanti produttori di piante per acquario e considerare il totale delle piante proposte.Dei circa 344 tipi di piante commercializzati in Italia (tra specie, cultivar,ibridi, varietà geografiche)ci possiamo accorgere che:

  • 3 % piante galleggianti
  • 7 % piante igrofile o da “paludario”
  • 12 % piante acquatiche sommerse obbligate (Aponogeton spp.,Ceratophyllum spp., Egeria spp.,Elodea spp., Nymphaea spp.,Vallisneria spp.,ecc.) 
  • 6 % piante che appartengono alla flora italiana (tra autoctone ed esotiche)
  • 20 % piante che provengono da regioni con clima simile o paragonabile al nostro

Questi numeri ci fanno già capire che una parte (7 %) delle piante vendute per essere coltivate in acquario sono, in realtà, piante igrofile provenienti da foreste umide o da zone saltuariamente allagate, in grado di poter sopravvivere per diverso tempo sott’acqua ma che non hanno quegli adattamenti  e quelle modificazione  tipiche delle verie e proprie piante acquatiche. Tra questetroviamo molte specie idonee per paludari o terrari umidi come Dracaena sanderiana, Ophiopogon  spp., Spatiphyllum spp., Selaginella spp. e Syngonium spp.

Il gruppo delle vere e proprie piante sommerse definibili obbligate, in quanto non in grado di sviluppare forme emerse o di svilupparsi e prosperare al di fuori dell’acqua, rappresenta circa un decimo del totale. Queste specie non sviluppano forme emerse e non possono essere coltivate in  maniera anfibia.

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Heteranthera zosterifolia (a sinistra) ed Echinodorus horizontalis in semi-emersione(a destra).

La rimanente percentuale, quella maggiore in termini numerici e per selezioni/ibridi ottenuti  dall’uomo, è costituita da elofite, o piante palustri, specie dotate di adattamenti morfologici e fisiologici tali da permettergli di vivere in suoli intrisi d’acqua o direttamente in sommersione per periodi più o meno lunghi. Fra i generi più rappresentativi di questo gruppo possiamo citare Anubias  spp., Cryptocoryne spp. ed Echinodorus spp.In natura le piante appartenenti a questo insieme possono trovarsi in sommersione per molti mesi quando, durante le piene o nella stagione delle piogge, nei loro biotopi il livello dell’acqua sale. In estate, nelle regioni a clima temperato o durante la stagione secca, per i climi tropicali, le acque si abbassano e le piante sviluppano fusti e foglie emerse: è proprio in questo periodo che, solitamente, avviene la fioritura e la conseguente riproduzione sessuale.

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Myriophyllum tuberculatum in acqua bassa

 

 

La coltivazione in acquario

Nei nostri acquari le piante appartenenti a questi gruppi sono coltivate insieme, tenute perennemente sommerse e in condizioni che rimangono costanti durante tutto l’anno: il livello dell’acqua non varia, l’illuminazione e il fotoperiodo (escludendo l’influenza della luce esterna) sono stabili e le temperature, mediante i termoriscaldatori, sono mantenute su livelli medi “tropicali”. Per fortuna la maggior parte delle piante acquatiche e palustri sono molto adattabili e possono essere coltivate, con discreto successo, anche in queste condizioni. C’è da considerare, però, che per poter mantenere in salute alcune specie nella loro forma sommersa  è necessario fornire ingenti quantità di luce artificiale e somministrare anidride carbonica e discrete dosi di fertilizzanti. Inoltre, le piante coltivate in acquario non sempre trovano le condizioni ideali per portare avanti le varie fasi del loro ciclo biologico (fioritura, fruttificazione, eventuale riposo vegetativo, ecc.).

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Fiore di Bacopa caroliniana

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Fiore di Hygrophila difformis

 

 

La coltivazione in emersione

Un altro modo per coltivare alcune “piante d’acquario” è proprio quello di assecondare la loro natura, mantenendole in emersione o nell’acqua bassa (coltivazione in semi-emersione). Questo ci permetterà di osservarne le varie fasi del ciclo vitale, compresa la fioritura e la fruttificazione. La coltivazione in emersione può essere realizzata in ambienti protetti,come paludari e terrariumidi,o all’esterno,in vasche,contenitori stagni o laghetti. Uno dei fattori positivo di questo tipo di coltivazione è  la riduzione delle operazione di gestione e mantenimento.I substrati potranno essere più organici e meno inerti rispetto a quelli che è preferibile utilizzare in acquario; la possibilità di usare contenitori o vasetti singoli, inoltre, permette di fornire ad ogni singola specie il terreno più idoneo alle sue esigenze. I cicli di fertilizzazione si riducono e il concime può essere inserito direttamente nel fondo (soprattutto nel caso di quelli a lenta cessione).

Periodiche fertilizzazioni potranno essere somministrate con l’acqua delle irrigazioni.Anche l’apporto dell’illuminazione artificiale, laddove non si possa usufruire di quella naturale del sole, è ridotto rispetto a quello necessario in acquario, poiché l’irraggiamento luminoso non viene riflesso o assorbito dalla colonna d’acqua. Fra i vantaggi va ricordata anche l’assenza dello sviluppo di alghe che, però, possono essere sostituite dalla comparsa, sulle foglie e sui fusti, di alcuni parassiti che colpiscono le piante “terrestri”. La coltivazione in emersione, per la semplicità di realizzazione e per i risultati ottenibili,regala grandi soddisfazioni e permette di conoscere e scoprire ogni fase del ciclo vitale delle piante acquatiche. Non a caso, anche le aziende produttrici coltivano la maggior parte delle loro piante in  questo modo, ottenendo esemplari robusti, di rapida crescita e in grado di sopportare lunghi viaggi senza rovinarsi. Resta il fatto che le vere piante acquatiche non possono essere coltivate in questo modo, così come quasi tutte le specie galleggianti. Il momento più importante in questo tipo di coltivazione, quando si parte da esemplari provenienti dalle nostre vasche, è quello del passaggio dalla forma sommersa a quella emersa, fase che deve avvenire in maniera graduale e mantenendo un adeguato grado umidità. La cosa più semplice sarebbe quella di cominciare con piante già emerse o reperendo i vasetti commerciali non appena giungono al negozio.

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La fioritura di Rotala rotundifolia coltivata emersa all’esterno

 

 

La coltivazione in emersione

Un’altra considerazione da fare riguarda il clima dei paesi da cui provengono le acquatiche utilizzate in acquario. Molte sono originarie di zone   realmente tropicali o, comunque, con temperature minime medie non inferiori ai 15 °C. Una buona percentuale, circa il 20 % di quelle comunemente presenti nei negozi,proviene da zone temperate   con situazioni climatiche paragonabili a quelle di certe Regioni italiane. Alcune hanno areali molto ampi che comprendono,addirittura, anche il nostro Paese. Acclimatare significa, per definizione, “abituare uomini,animali o piante a vivere in luoghi diversi da quelli di origine”. In riferimento ai vegetali possiamo dire che l’acclimatazione “è l’adattamento della pianta ad un ambiente non proprio e, quindi, il complesso degli accorgimenti utilizzati allo scopo di assuefare l’organismo vegetale per corrispondere ai particolari interessi dell’uomo”.   Quindi, per coltivare all’esterno durante tutto l’anno le piante acquatiche, si sfruttano le capacità intriseche naturali o indotte del vegetale a reagire alle diverse condizioni ambientali, oppure si interviene con mezzi artificiali (come serre, protezioni invernali ed altri accorgimenti agronomici).

Le prove personali di acclimatazione all’esterno di piante d’acquario,condotte fin dal 2004 seguendo un metodo standard e costante nel tempo, hanno dato dei risultati interessanti, scontati nel caso di specie originarie di climi temperati o temperato-freddi, notevoli invece nel caso di piante con origine subtropicale. Nel mio giardino si raggiungono temperature minime di -7 °C  (con saltuaria formazione di ghiaccio in superficie e sporadici eventi nevosi) e massime di oltre 35 °C). Ogni situazione è un caso particolare ed ogni specie può reagire in maniera diversa in base a certi fattori. Per questo non è possibile generalizzare ma sono utili, invece, numerose prove condotte in in vari luoghi.

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 Myriophyllum pinnatum sotto il ghiaccio

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Danni da freddo su Hygrophila difformis

 

 

Guida redatta da Roberto Pellegrini
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Author: Roberto Pellegrini

Perito agrario ed educatore ambientale, si occupa dello studio e della coltivazione di piante acquatiche e palustri, con maggior riferimento alle specie autoctone italiane in via d'estinzione, alla loro moltiplicazione e conservazione ex-situ e alle piante acquatiche alimentari. E' titolare del Vivaio & Collezione 'Area Palustre', specializzato in specie vegetali acquatiche e di zone umide: la collezione, che conta oltre 1500 unità, è una delle più importanti in Italia a livello scientifico e conservazionistico. Ha ideato e partecipato come relatore a corsi didattici sulle tematiche del giardino naturale, del giardino acquatico e delle piante acquatiche alimentari. E' autore di diversi articoli e contributi divulgativi su riviste e siti web.